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Il settimo grado

In una recente splendida, lunga, profonda intervista (National Geographic Italia, novembre 2006, vol. 18, n. 5) Messner ha rivelato di vedere la sua vita composta di una succesione di fasi distinte: quella alpina e dolomitica, quella himalayana, quella orizzontale (traversata di Polo Nord, Polo  Sud, e diversi deserti), quella della ricerca dello Yeti (oggetto di polemiche), e quelle più recenti dell'agricoltura e dei musei di montagna.
Il 7° grado racconta della fase uno.

Un libro introvabile, di cui ho fortunosamente reperito sia l'edizione originale Görlich (1972 in tedesco, 1974 in italiano) che quella dell'Istituto Geografico De Agostini di parecchi anni dopo (1982 in italiano).

La
copertina dell'edizione originale: Messner fine anni “60 che arrampica con pantaloni di velluto, pedule, imbraco pettorale, un maglione di lana. Una foto che affascina, di per sé, e perché ritrae il più grande alpinista di tutti i tempi, un talento immenso, una volontà e progettualità altrettanto immense, sviluppate compiutamente, esizialmente direi. È nota l’esortazione dell’Oracolo di Delfi, conosci te stesso, meno quella di Pindaro, divieni te stesso. La propongo idealmente ad esergo del libro.
"Se sono ben preparato, se vivo a lungo la mia sfida nelle mie visioni [...] quando comincio a scalare, specialmente se è una grande parete, qualunque sia la difficoltà, sono talmente concentrato che non esiste nient'altro; esistono solo  quei pochi metri di parete ai quali sono appeso e che sto scalando; e in questa concentrazione tutto appare 
estremamente logico. Il pericolo non c'è più, è svanito... mentre la concentrazione è assoluta". Così nell'intervista rilasciata al National Geographic. Trentaquattro (34!) anni prima Messner, scrivendo Il 7° grado, raccontava come arrivava ad essere "ben preparato": l'allenamento fisico, la forza caratteriale, la ricerca di un'etica. Il tutto - al netto delle foto e del prologo di citazioni - in una novantina di pagine, poco meno di trenta racconti. Uno stile essenziale, dunque: nella scrittura come nell’arrampicata.
Tre i binari su cui si muove. Il primo: le imprese. Messner è forte, lo sa, lo afferma con delle prime sbalorditive, o per la velocità di ascensione, o perché in solitaria, o semplicemente perché al ritorno dalla solitaria sulla seconda Torre di Sella  saluta il  gestore del rifugio, che lo aveva atteso alzato malgrado l'ora notturna, e prosegue per valle, senza neanche fermarsi per un bicchiere d’acqua. Il secondo: la sicurezza. Ai tanti che stigmatizzano il suo approccio alla montagna ribatte rabbioso che non si può mettere sotto una lente di ingrandimento la singola ascensione ignorandone la lunga e dura preparazione. Be prepared, potrebbe essere il motto dell’altoatesino, che trascorreva giornate intere in parete volutamente senza né acqua né cibo perché imparasse l’uomo a conoscere i limiti del proprio corpo ed il corpo la volontà dell’uomo di spostarli un passo più in là. Il terzo: le motivazioni. Intanto per la bellezza della montagna e le sensazioni che regala. “Anche per lo scalatore medio alla sera il sole diventa rosso e una fresca sorgente dà refrigerio alla sua gola. Lo stormire dei pini gli ricorda la casa. Per trovare tutto ciò bastano l’entusiasmo e il contatto con la natura, non è necessario il sesto grado” (1974, p. 83). Naïf, certamente, come lo sono - in quanto autentici - sia Messner che la natura. E poi perché l’abbraccio con la parete completa l’uomo, che si sente parte di qualcosa di più grande. Nelle migliori scalate Messner racconta di avere goduto di una assoluta consapevolezza di sé e di una totale inconsapevolezza dell’arrampicata: scalava spontaneo, fluido, lieve. Ogni vetta, quindi, conduce a realizzare l’esortazione di Pindaro.
Collegamenti:

< Ray Jardine

Yosemite, il Polo Sud con gli sci, l'Atlantico a remi, ed il famoso Backpacking, una tecnica di escursismo essenziale con la quale ha persorso tutto il Pacific Crest Trail

< Reinhold Messner

Per chi sa il tedesco

< Il numero di National Geographic
Dai primi anni "70 ai primi "80. L'insegnante di matematica che arrivava in classe direttamente da una notte in parete ora è famoso in tutto il mondo, alle spalle ha buona parte delle sue imprese himalayane, tra cui la celebre prima scalata dell'Everest senza ossigeno. Messner amplia il libro, che esce per le edizioni De Agostini, con una nuova copertina: Ray Jardine nella seconda ascensione di Separate Reality nello Yosemite. Jardine è l'inventore dei friend, che introducono il clean climbing. Credo sia finito in copertina per questo. Il celebre dibattito sulla possibile esistenza del VII grado (che qui non riporto, ma da cui nacque il libro, a cominciare dal titolo) è ormai alle spalle: Messner indica come punto di svolta il 1977, quando Helmut Kiene e Reinhard Karl salgono le Pumprisse ed hanno il coraggio di dichiararle VII grado.
La polemica di Messner non è accademica, poiché non è sul grado in quanto tale, ma sulla miopia con cui si guarda all'alpinismo, con occhi chiusi alle novità, alla capacità dell'uomo di superarsi, allo stile. Messner, sull'onda del decennio d'oro di Yosemite, scrive di arrampicata libera (free climbing, i mezzi tecnici sono di sicurezza e non di ausilio alla progressione) e di arrampicata pulita (clean climbing, i mezzi tecnici sono ridotti sia di numero che di impatto sulla roccia; es. si piazzano pochi dadi anziché molti chiodi).

"In alpinismo l'evoluzione risiede nel come. Io mi sforzo di affinare la mia tecnica d'arrampicata, di esercitare l'occhio, di aumentare la mia resistenza. La mia grossa meta è di raggiungere una sicurezza d'arrampicata totale su qualsiasi terreno. [...] Se noi impariamo a rinunciare, la scoperta delle Alpi non ha fine" (1982, p. 38). 

Consiglio senz'altro l'edizione originale: asciutta ed essenziale, antica, come le scalate raccontate. Ed invito, per chi vuole, a provare a rinunciare.
(marzo 2007)
Recensione di:
Messner, R., Il 7° grado (1972). Trad. it. Görlich Editore, 1974.
(letto in prestito)