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Run Out
Mark
Twight ha scritto un manuale di alpinismo e un libro di storie sulla
sua vita di climber, entrambi recensiti su questo sito. Steve
House ha scritto una biografia sulla propria carriera di alpinista e un
manuale di allenamento professionale, la cui introduzione ha affidato
proprio a Mark Twight, suo mentore. Alessandro
“Jolly” Lamberti ha scritto alcuni anni fa un manuale di
allenamento per la scalata sportiva e da poche settimane ha dato alle
stampe “Run Out”, un libro di racconti fortemente
autobiografico.
1 manuale + 1 autobiografia. Partiamo da qui.
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“Kiss
or kill: Confessions of a Serial Climber” è il libro di
storie sulla sua vita di climber che ha reso Mark Twight famoso nel
mondo. Famoso a ragione: infatti è il primo titolo della mia
personale e severa top ten di letteratura di montagna. Nessun altro,
per me, ha raggiunto un tale livello di scavo interiore, di
consapevolezza, di accettazione e depotenziamento del proprio ego, di
fusione con l’istante dell’azione in montagna. Di
utilità: è un libro che forma.
“Oltre la montagna” di Steve House non raggiunge
minimamente quel livello. Pur avendo scalato insieme per anni, pur
essendo House l’alpinista che sulle pareti ha raccolto la
fiaccola di Twight – la fiaccola di quel particolare e unico
approccio alla scalata ed alla vita, così esigente, così
estremo, così scarnificante – quando House accende un notebook e
scrive, resta sulla superficie. Infatti dà il meglio di
sé in “Training for the New Alpinism: A Manual for the
Climber as Athlete”.
Jolly
Perché dico questo? Ricordate una delle scene più famose
di “Pretty Woman” il film con Julia Roberts e Richard Gere?
Lei è una prostituta di strada, lui è ricco e disinvolto,
se ne innamora, e un giorno la sorprende con un regalo. La porta con il
suo jet privato in un’altra città a vedere l’Opera.
E lei sul palco piange per la commozione. È l’unica del
palco che piange. Avesse raccolto un’altra dalla strada, non
avrebbe pianto. Avesse portato una fidanzata del suo ambiente sociale,
non avrebbe pianto. L’anziana signora seduta di fianco, non
piange. Richard Gere, non piange. Piange solo Julia Roberts. Piange
solo chi ha un carattere tale per cui certi fatti si amplificano, le
emozioni come onde montano, i collegamenti neuronali sono predisposti.
Ogni tanto appare un alpinista come Julia Roberts. Mark Twight è
uno di questi. Steve House no. Jolly sì.
L’impressione che si ha leggendo “Run Out” è
che nella testa di Jolly ci sia uno stormo di uccelli come quelli che
si vedono nei cieli romani a fine anno, e che sono stati ripresi
volteggiare sopra il palazzo dell’ENI all’EUR da Terrence
Malick in “The Tree of Life”: quando Jolly scala, gli
uccelli si muovono all’unisono, fluidi, coordinati, istintivi,
continui, meravigliosi. Quando non scala, e quindi pensa, si muovono
all’impazzata, senza sosta, entropici, faticosi. Il libro avvince
perché, come sempre, mentre la perfezione suscita stupore e
irraggiungibilità, l’imperfezione suscita empatia e
immedesimazione: della descrizione della famiglia del Mulino Bianco,
non sapremmo che farci – come non sappiamo che farci della
descrizione tecnica di una via, dell’elenco di record e
prestazioni di Simone Moro, della narrazione piatta di bivacchi e dita
congelate.
Jolly in Verdon con un gruppo di allievi
Lucio Della Seta è autore di un libretto snello e potente
sull’ansia e il panico, e cioè sull’emozione che
proviamo quando il nostro cervello aziona, in maniera per noi del tutto
inconsapevole, scariche di adrenalina, innalzamento del battito
cardiaco, iperventilazione. Su questo tema Jolly scrive molte pagine, a
più riprese, notevoli. Per esempio nel racconto numero 21,
“La nave dell’ansia”, che parla delle ore antecedenti
l’exploit televisivo che lo vide scalare per la trasmissione
televisiva “Scommettiamo che” la prua di una nave nel porto
di Genova. Il filmato si trova su YouTube, mostra una fluidità e
una tecnica incredibili, ma non lascia trasparire nulla
dell’ansia dei giorni precedenti. “È molto meglio
morire da soli, quando non ti vede nessuno. Solo chi ha poca
immaginazione non ha paura delle cazzate. E io per tutta la vita mi
sono cibato solo di immagini. Le mie donne erano immagini, i miei
rapporti sessuali erano immagini, le mie imprese erano immagini.
[…] L’ansia si ciba di immaginazione. Soffocherò,
morirò d’infarto davanti a mia madre che mi guarda alla
tivù. Manca un giorno”. Per esempio nel racconto numero
54, “Oggi”, che indulge nella tentazione di un bilancio.
“Non mi viene nostalgia, per un attimo provo paura. Quella paura che pensavo di
aver superato per sempre, riaffiora di nuovo. Tum-tum-tu-tum. Il mio
cuore sfalsa quel battito, ancora una volta. Tutti quegli anni passati
a cercare di contrastarla ma eccola lì, come il mostro di
“IT”, dentro un tombino di scarico, che si traveste da
clown e sbrana le mie membra. Tum-tum-tu-tum. Sta dentro di me, con gli
occhi gialli e fluorescenti di un animale notturno, aspetta che io le
dia importanza, come un’idea che non esiste senza il suo ideatore
[...] Era stato l’inutile e continuato tentativo di liberarmene
ad impedirmi di vivere, non la paura stessa […] Il peccato non
era l’avere paura […] Non amare. Non vivere. Ecco, quello
era stato il peccato; di quello mi sarei dovuto vergognare, non di una
ridicola paura che altro non era che […] un naturale e vivido
eccesso di immaginazione”.
Un altro tema centrale del libro è il sesso, che sarà
stato un tabù per l’autore da giovane, ma da uomo adulto
decisamente no, il numero e il tipo di avventure raccontate sta
lì a provarlo. Colpisce la sproporzione tra pagine dedicate al
sesso e pagine dedicate all’amore: non si capisce se sia
così per privacy, per rarità del sentimento, o
perché il processo di scavo è arrivato sì in
profondità ma non così in profondità. Ho letto con
attenzione tutte le trecentocinquanta pagine di “Run Out” e
mi verrebbe da dire che Jolly abbia amato veramente solo Nadia Dimai, i
lineamenti di una sioux, capace di scalare “senza mostrare alcuno
sforzo, come solo il talento permette”. Io l’ho incontrata
una volta in Cinque Torri con dei clienti, ed effettivamente è
proprio così. La risposta ovviamente la conosce solo
l’autore.
Molti gli aneddoti sulla tribù degli scalatori romani, nelle
parole di Jolly “nevrotica e vitale”. Alcuni veramente
epici, risentiti a voce decine di volte, da gente sempre diversa. Come
il celeberrimo Blocca Bajò: “Felice di Tivoli partì
deciso […] su un duro 7a […] mentre Baiocco lo
assicurava. […] Felice arrivò all’altezza del primo
chiodo, ma non lo moschettonò […] arrivò
all’altezza del secondo chiodo e non lo moschettonò.
Assunse invece una posa curiosa, col corpo quasi orizzontale, una gamba
poggiata su una sporgenza, alla stessa altezza della mano, ma molto
più a destra e l’altra gamba in bilanciamento […] e
disse: “Blocca Bajò”. Baiocco bloccò. Ma non
c’era nessun moschettone passato nella corda. Gli astanti
soffermarono lo sguardo curiosi. Uno scalatore sdraiato su un letto
invisibile chiedeva di appendersi su un rinvio invisibile. Baiocco
tirò la corda e ruppe l’incantesimo. Felice
cominciò a precipitare”.
Andrea Di Bari sulla copertina del 1999 della rivista ROTPUNKT dedicata
alla scoperta e valorizzazione di Kalymnos
“Run Out” è una raccolta di 55 racconti: qualcuno
molto egocentrico, qualcuno molto bello, nessuno inutile. Le
scalate non sono né sul
Cierro Torre né sul Nanga Parbat, ma a Buoux, a Yosemite, in
Thailandia, sugli strapiombi del Moneta o sui biditi di Grotti:
insomma, è un libro di falesia, non di montagna – anche se
la montagna fa capolino spesso, essendo Jolly una guida alpina. Ma
è un libro di falesia che dà la paga al 90% dei libri di
montagna che ho letto negli ultimi vent’anni. A patto di avere
qualche tratto caratteriale in comune con Jolly, altrimenti la lettura
risulterà ripetitiva. Segnalo i miei racconti preferiti: il
numero 9, “1 gennaio 1987,
Sperlonga”, per come descrive la comunità di climber che
ruotava attorno ad Andrea Di Bari, e per il finale micidiale, quasi un
koan; il numero 53, “In visita dal Mago”, per come sembra
infilarsi nella colla della melanconia, tirandosene invece fuori.
Tra le citazioni più note di Mark Twain c’è questa:
“tra vent'anni sarete più delusi per le cose che non avete
fatto che per quelle che avete fatto, quindi mollate le cime,
allontanatevi dal porto sicuro, prendete con le vostre vele i
venti”. Jolly, non c'è dubbio, ha veleggiato.
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(gennaio 2015) |
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Recensione di:
Lamberti, A., Run Out (2014). Edito da A.S.D. Lanciani Climbing.
(letto in prestito)
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